notizie dal territorio



AldiquadelGuà e il territorio


AldiquadelGuà, gruppo per una comunità sostenibile di Sarego, è un gruppo costituito da persone in cammino verso una maggiore consapevolezza riguardo il proprio stile di vita e le tematiche legate all'inquinamento, ma non solo.
Riguardo le tematiche del territorio, aldiquadelGuà non intende proporre una propria lettura dei fatti, ma proporre in questo spazio informativo la visione di documenti e informazioni che aiutino ciascuno a capire e valutare in maniera autonoma, consci che della realtà esistono sempre diversi punti di vista.




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Se desiderate informazioni aggiornate sulle problematiche legate all'inquinamento delle acque del territorio troverete notizie aggiornate nei seguenti siti:

http://acqualiberadaipfas.blogspot.it 

www.perlablu.it (Circolo di Legambiente) Via Cavour n° 72 37044 Cologna Veneta (VR) 3394736762 

www.acquabenecomune.org (Forum Italiano dei movimenti per l'acqua)



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Documentazione anni scorsi:

Pubblichiamo le riprese video dell'incontro pubblico del 6 marzo 2013 svoltosi a Lonigo sul tema della qualità dell'acqua e dell'aria







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Il Consiglio comunale di Sarego ha approvato la seguente delibera
"MODIFICA STATUTO - RIPUBBLICIZZAZIONE ACQUA PUBBLICA"

IL CONSIGLIO COMUNALE
Premesso
che l'acqua è un bene essenziale ed insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile e all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale, indivisibile, che si può annoverare fra quelli
di cui all'articolo 2 della Costituzione;

che con la promulgazione della Carta Europea dell'Acqua (Strasburgo 1968) la concezione dell'acqua come “bene comune” per eccellenza si è progressivamente affermata a livello mondiale;

che il bene acqua, pur essendo rinnovabile, per effetto dell'azione antropica può esaurirsi: è quindi responsabilità individuale e collettiva prendersi cura di tale bene, utilizzarlo con saggezza, e conservarlo affinché sia accessibile a tutti e disponibile per le future generazioni;

che la Risoluzione del Parlamento Europeo del 15 marzo 2006 sul IV Forum mondiale dell'Acqua dichiara “l'acqua è un bene comune dell'umanità” e chiede che siano esplicati tutti gli sforzi necessari a garantire l'accesso all'acqua alle popolazioni più povere entro il 2015 ed insiste affinché “la gestione delle risorse idriche si basi su un'impostazione partecipativa e integrata, che coinvolga gli utenti ed i responsabili decisionali nella definizione delle politiche in materia di acqua a livello locale e in modo democratico”;

che, inoltre, la risoluzione del Parlamento Europeo dell'11 marzo 2004 sulla strategia per il mercato interno già affermava “essendo l'acqua un bene comune dell'umanità, la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno”;

che il principio dell'accesso all'acqua come diritto fondamentale di ogni persona, secondo criteri di parità sociale e di solidarietà, è stato, altresì, recentemente ribadito dall'assemblea Generale delle Nazioni Unite (Risoluzione ONU del 29 luglio 2010);

Considerato
che l'esito della consultazione referendaria del 12 e 13 giugno scorso ha determinato l'abrogazione sia dell'articolo 23bis del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con la legge 6 agosto 2008, n.133 e successive modificazioni e integrazioni, sia del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152;

che sussistono, pertanto, le condizioni normative per promuovere la ripubblicizzazione dei servizi idrici;

che è opportuno introdurre nell'ordinamento comunale la definizione di servizio idrico integrato come servizio pubblico essenziale di interesse generale al fine di garantire l'accesso all'acqua per tutti;

Considerato, infine,

che l'Amministrazione comunale condivide sostanzialmente gli obiettivi del movimento mondiale del Forum dei movimenti per l'acqua, che coinvolge un sempre maggiore numero di enti locali in tutto il Paese, e ritiene opportuno, anche in relazione all'assetto costituzionale, sviluppare un'azione tesa a riformare il sistema di gestione del servizio idrico, che superi il modello di gestione mediante affidamento a soggetto giuridico privato e ha come obiettivo la realizzazione di un modello di gestione pubblica-partecipata, mediante affidamento ad un soggetto giuridico di diritto pubblico;

Ritenuto

che è necessario individuare e fare propri alcuni principi basilari in tema di concezione dell'acqua come bene comune;

che è opportuno prevedere, in tale percorso di scelte, la consultazione delle organizzazioni della “cittadinanza attiva”, al fine di realizzare il necessario processo partecipativo;

che uno degli obiettivi è rendere la società di gestione del servizio idrico un soggetto giuridico di diritto pubblico, con le caratteristiche di azienda improntata a criteri di economicità, efficienza, trasparenza e partecipazione;

Visto lo Statuto del Comune di Sarego approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 47 del 06/06/1995 e successive modifiche ed integrazioni approvate con deliberazioni del Consiglio comunale n° 14 del 22/02/1996, n° 5 del 03/02/2000 e n° 30 del 27/06/2013;

Ritenuto necessario ed opportuno procedere, per le ragioni sopra esposte, alla modifica dello Statuto Comunale recependo il principio di “acqua bene comune” e l'obiettivo di “salvaguardia di tutto il territorio comunale” come meglio evidenziato nell'allegata proposta di modifica dello Statuto Comunale (Allegato A);

Dato che l’argomento in oggetto è stato trattato dalla Commissione Consiliare n. 1 nella riunione del 14/02/2014;

Dato atto che sulla presente proposta è stato espresso l’allegato parere in ordine alla regolarità tecnica ai sensi art. 49 D.Lgs. n. 267/2000;
 
Sentiti gli interventi dei consiglieri che hanno partecipato alla discussione come da documento agli atti della presente delibera;

PRESENTI n. 10 – VOTANTI n. 10 – FAVOREVOLI n. 9 – ASTENUTO n. 1 (
Bisognin);
DELIBERA
1) di fare propri e approvare i seguenti principi:
- l'acqua è un bene comune, un diritto umano universale non assoggettabile a meccanismi di mercato;
- la proprietà e la gestione del servizio idrico devono essere pubbliche e improntate a criteri di equità, solidarietà (anche in rapporto alle generazioni future) e rispetto degli equilibri ecologici;
2) di procedere, di concerto con il Forum dei movimenti per l'acqua, alla consultazione delle organizzazioni della “cittadinanza attiva”, al fine di realizzare il necessario processo partecipativo;
3) di procedere di concerto con il Forum dei movimenti per l'acqua, all'audizione di esperti nei settori giuridico, economico, aziendale, al fine di acquisire ulteriori conoscenze per l'elaborazione di un modello di gestione coerente con i principi richiamati, approfondendo i seguenti temi:
- Realizzabilità e modalità costitutive di aziende di diritto pubblico
◦ Legislazione e giurisprudenza comunitaria e italiana in materia;
◦ Forme di gestione tramite enti di diritto pubblico
- L'economia degli enti di diritto pubblico
Differenze di tassazione tra S.p.A. e aziende strumentali ◦ pubbliche
◦ Il Patto di Stabilità Interno e le conseguenze dell'assoggettamento delle aziende speciali e “in house”;
◦ Accesso al credito
- Forme di gestione partecipativa
4) di garantire l'attività di consultazione e di condivisione in condizioni di massima trasparenza e partecipazione, anche mediante l'utilizzo del web;
5) di proporre, nelle opportune sedi, tale percorso ai comuni dell'AATO Bacchiglione e della provincia di Vicenza;
6) di approvare le modifiche e le integrazioni allo Statuto Comunale evidenziate in colore rosso nell’allegato A) al presente provvedimento che forma parte integrante e sostanziale del presente provvedimento;
7) di allegare al presente atto il testo dello statuto comunale nella nuova formulazione (allegatoB).

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Istanza per la pubblica proprietà delle risorse idriche e della loro gestione


A marzo 2013 i portavoce del Gruppo per una Comunità Sostenibile – Aldiquadelguà e del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua hanno incontrato i rappresentanti dell’amministrazione comunale di Sarego per richiedere l’attuazione di misure concrete volte a salvaguardare la pubblica proprietà sia delle risorse idriche che della loro gestione, incluse le reti e i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione. La minaccia di una completa privatizzazione del servizio idrico è infatti ancora impellente, nonostante la chiara e inequivocabile volontà espressa nel risultato dei due referendum sull’acqua del giugno 2011.
Sebbene durante l’incontro l’amministrazione comunale di Sarego fornì ampie rassicurazioni al riguardo, le richieste inoltrate non sono state ancora recepite.
Pertanto è stata promossa un’iniziativa popolare attraverso la sottoscrizione di un’istanza rivolta al consiglio comunale di Sarego, che gli impone di avviare una discussione sugli argomenti in oggetto, e in cui gli si richiede prima di emanare una delibera di indirizzo che tuteli il servizio idrico dall’introduzione di logiche di mercato, e poi di applicare una modifica allo statuto comunale che ne implementi i contenuti.
Ieri 18 dicembre, a nove mesi esatti dal primo incontro, l’istanza è stata fatta protocollare in Comune con numero 15830. Eccone il testo completo:

Al Sig. Sindaco del Comune di Sarego
Al Presidente del Consiglio Comunale
Ai Consiglieri Comunali

I sottoscritti Cittadini di Sarego, ai sensi degli Artt. 8 e 14 dello Statuto comunale, inoltrano la seguente
ISTANZA

Premesso che:

·         l’acqua è un bene essenziale ed insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l’accesso all’acqua potabile e all’acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile, universale e indivisibile dell’uomo, che si può annoverare fra quelli di cui all’Art. 2 della Costituzione Italiana;

·      con la promulgazione della Carta Europea dell’Acqua (Strasburgo 1968) la concezione dell’acqua  come “bene comune” per eccellenza si è progressivamente affermata a livello mondiale;

·         il bene acqua, pur essendo rinnovabile, per effetto dell’azione antropica può esaurirsi, ed è quindi responsabilità individuale e collettiva prendersi cura di tale bene, utilizzarlo con saggezza, e conservarlo affinché sia accessibile a tutti e disponibile per le future generazioni;

·         la Risoluzione del Parlamento Europeo dell’11 marzo 2004 sulla strategia per il mercato interno afferma che “essendo l’acqua un bene comune dell’umanità, la gestione delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno”;

·         la Risoluzione del Parlamento Europeo del 15 marzo 2006 sul IV Forum Mondiale dell’Acqua dichiara “l’acqua è un bene comune dell’umanità” e chiede che siano esplicati tutti gli sforzi necessari a garantire l’accesso all’acqua alle popolazioni più povere entro il 2015 ed insiste affinché “la gestione delle risorse idriche si basi su un’impostazione partecipativa e integrata, che coinvolga gli utenti e i responsabili decisionali nella definizione delle politiche in materia di acqua a livello locale e in modo democratico”;

·         la Regione Veneto ha introdotto nel suo statuto (Art. 8.2) che “La disponibilità e l’accesso all’acqua potabile, nonché all’acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi, costituiscono diritti universali. La Regione garantisce a ciascun individuo il diritto minimo vitale giornaliero d’acqua quale diritto alla vita.”;

·         i medesimi principi si trovano confermati e ampliati ai commi 1, 2 e 3 dell’Art. 1 della Legge Regionale n°17 del 27 aprile 2012 – Disposizioni in materia di risorse idriche.

Considerato, inoltre, che:

·         i cittadini attendono che le autorità competenti diano piena, corretta e tempestiva esecuzione al referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011;

·         già in data 18 marzo 2013 i rappresentanti locali del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, unitamente ai portavoce di gruppi di cittadini di Sarego, hanno incontrato gli Assessori Zambon e Tregnaghi per chiedere la revisione del vigente Statuto comunale sul modello delle modifiche già introdotte in altri comuni, al fine di implementare nuovi articoli che individuino l’acqua come un bene comune, garantiscano il diritto d'accesso all'acqua per tutti, salvaguardino la pubblica proprietà e gestione delle risorse e delle reti idriche, e definiscano il servizio idrico integrato come servizio pubblico essenziale di interesse generale;

·         in medesima sede gli stessi Assessori avevano assicurato un repentino, diretto ed effettivo interessamento circa l’accoglimento di tali richieste;

·         è in costante crescita il numero dei comuni della provincia di Vicenza che introducono nei propri Statuti una serie di modifiche per il rispetto dell’esito dei referendum 2011 (tra cui quelle di cui sopra), che emanano delibere di indirizzo volte all’attuazione delle stesse e che stanno così dando prova di reale impegno nella promozione di un percorso di ripubblicizzazione del s.i.i. (ad esempio Marano Vicentino, Sandrigo, Santorso, Schio, Valdagno e Vicenza);

·         la discussione circa i temi qui trattati è in previsione a breve anche presso altri importanti consigli comunali (a titolo di esempio, ricordiamo Bassano del Grappa).

Si richiede che il Consiglio Comunale di Sarego:

·         metta all’ordine del giorno nel più breve tempo possibile una discussione sui temi della salvaguardia della pubblica proprietà sia delle risorse idriche che della loro gestione, della tutela della qualità dell’acqua, della definizione dell’acqua come Bene Comune e diritto fondamentale ribadito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Ris. del 29 luglio 2010);

·         deliberi un atto di indirizzo volto a realizzare il principio secondo cui il servizio idrico integrato deve essere effettuato da un soggetto di diritto pubblico, non tenuto alle regole del mercato e non finalizzato a perseguire profitti (a tal fine si rimanda agli allegati A, B, C, D ed E);

·         approvi una modifica del vigente Statuto comunale che introduca i seguenti punti:
-    l'acqua è un bene comune pubblico;
-    la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile e all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale, indivisibile, inalienabile, non assoggettabile a meccanismi di mercato;
-    il servizio idrico integrato è un servizio pubblico essenziale di interesse generale finalizzato a garantire l'accesso all'acqua per tutti;
-    la proprietà e la gestione del servizio idrico, in particolare la proprietà e la gestione degli impianti, della rete di acquedotto, distribuzione, fognatura e depurazione, devono essere pubbliche e inalienabili, nel rispetto delle normative comunitarie e nazionali, improntate a criteri di equità, solidarietà (anche in rapporto alle generazioni future) e rispetto degli equilibri ecologici.
A tal fine si rimanda agli allegati F, G, H e I (in particolare le parti sottolineate);

·         disponga, infine, la pubblicazione on line di tutta la documentazione relativa ai precedenti punti.

Cordiali saluti

Sarego
Data: 18 dicembre 2013
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Acque inquinate da composti perfluoroalchilici
(PFOA, PFAS)

documenti 
25 marzo 2013: Relazione IRSA
7 giugno 2013: Relazione ISS
11 luglio 2013: Relazione ARPAV


rassegna stampa
5 luglio 2013: Corsi d'acqua inquinati nel Vicentino
5 luglio 2013: Allerta acqua nei territori vicentini
10 luglio 2013: Acqua contaminata nel vicentino
11 luglio 2013: L'acqua sospetta nel Vicentino
11 luglio 2013: Inquinamento acque superficiali nel vicentino
20 luglio 2013: Fluoro, arriva da Trissino la minaccia alle nostre acque
8 agosto 2013: Medici per l'ambiente: "Acque inquinate, rischio leucemie"
8 agosto 2013: Fluoro, è chiuso anche il pozzo di Castelgomberto
14 agosto 2013: Vietato bere acqua dai pozzi privati
10 settembre 2013: Contaminazione acque, l'appello dei medici
11 settembre 2013: Acque inquinate nel Vicentino, medici all'attacco
13 settembre 2013: Pfoa, a Trissino in vista una serata con la popolazione
21 settembre 2013: Valle dell'Agno e del Chiampo, "acqua inquinata"
24 settembre 2013: Sostanze nocive. I livelli nell'acqua sono aumentati
28 settembre 2013: «Acqua, pozzi sotto controllo»

All’assemblea tenutasi a Lonigo il 17 ottobre u.s. e dedicata all’inquinamento da perfluoroalchilici, il Dott. Altissimo, direttore del centro idrico di Novoledo, ha dichiarato che i valori massimi di concentrazioni di questi composti, stabiliti nel 2006 in Germania dalla Commissione per le Acque Potabili del Ministero della Salute, sono i seguenti:
- per 5 µg/L (microgrammi per litro d’acqua) si richiedono provvedimenti precauzionali per ridurre l’assunzione di PFOA e PFOS negli adulti;
- per 0,5 µg/L si richiedono provvedimenti precauzionali per ridurre l’assunzione di PFOA e PFOS nei neonati, nei lattanti e nelle donne in gravidanza;
- per 0,3 µg/L, la concentrazione è tollerabile per una esposizione per tutta la vita in tutti i gruppi di popolazione;
- 0,1 µg/L è l’obiettivo di qualità a lungo termine.
Secondo quanto affermato nella medesima occasione dal Dott. Rabesan, direttore del SIAN (Servizio Igiene degli Alimenti e Nutrizione), a seguito di tre rilevazioni “da rubinetto”, eseguite dall’ULSS 5 Ovest Vicentino sul territorio di Sarego, le concentrazioni di composti perfluoroalchilici a settembre, dopo l’installazione di filtri a carboni attivi, sono risultate di 0,05 µg/L, 0,1 µg/L, 0,2 µg/L e corrispondenti ai valori riscontrati da Centro Veneto Servizi S.p.A.


   
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Fanghi da concia 1: report della conferenza pubblica del 16 maggio 2013
Riportiamo qui, sulla base delle riprese audiovideo effettuate per l’occasione, i contenuti emersi nel corso della conferenza pubblica dal titolo“Fanghi da concia: fumo in vista?” organizzata dall'Associazione No alla Centrale per informare, capire e riflettere sul progetto di gassificatore dei fanghi conciari. La conferenza si è tenuta la sera del 16 maggio u.s., presso il Centro Diurno di via Fiume a Lonigo. Relatori: Dott. Vincenzo Cordiano, Presidente dell'Associazione Medici per l'Ambiente, ISDE Italia sezione di Vicenza, ed Emanuele Vezzaro, attivista dell'Associazione No alla Centrale.


Nereo Sottoriva, Presidente dell'Associazione No alla Centrale, ha fatto una breve introduzione, dichiarando che lo scopo della serata previsto dagli organizzatori consiste nell’avvio di una riflessione pubblica sul tema dei rifiuti dell’industria conciaria, per rendere partecipi sia i cittadini che gli amministratori che dovranno affrontarne la gestione. L’Associazione dichiara di non essere in contrapposizione con il distretto della concia, ma anzi di cercare di dare un contributo alla soluzione del problema dei fanghi senza perdite di tempo prezioso e senza avventurarsi in progetti che possono mettere a rischio l’economia della Valle del Chiampo.

Per avere un quadro dei rischi per la salute che possono provenire dagli inceneritori e dalle discariche, gli organizzatori hanno invitato il Dott. Vincenzo Cordiano, ematologo.

L’analisi di Cordiano è partita da uno studio pubblicato nel settembre 2010 a cura dell’Ulss 5 e del servizio epidemiologico regionale, che compara i dati sulle varie cause di mortalità nel territorio dell’Ulss stessa con i dati regionali, nel periodo compreso fra il 1999 e il 2008. Secondo le statistiche emergerebbe che, nel territorio considerato, la mortalità generale è di circa il 5% superiore rispetto alla media regionale. La causa di morte che risulta però nettamente più incidente nel territorio dell’Ulss 5 rispetto alla media regionale è legata a malattie dell’apparato respiratorio. Questa causa di morte risulta superiore di quasi il 40% rispetto alla media regionale. Le malattie collegate con il tasso di inquinamento ambientale, in particolare le malattie delle vie respiratorie, risultano quindi più frequenti in questa Ulss rispetto alle altre.

Una relazione tra la più alta mortalità causata dalle malattie dell’apparato respiratorio e il grado di inquinamento del territorio considerato, sarebbe dimostrata dal fatto che nell’Ulss 5 il livello dell’inquinamento atmosferico è maggiore rispetto a quello di altre Ulss. Attraverso delle immagini satellitari è innanzitutto possibile constatare che la Pianura Padana è una delle zone più inquinate d’Europa. La mappa di zonizzazione elaborata dagli uffici tecnici della Regione Veneto, evidenzia poi come larga parte del territorio di competenza dell’Ulss 5, tra cui i comuni di Lonigo e Sarego, rientra nell’area denominata “agglomerato di Vicenza”, dal momento che risulta tra le maggiormente inquinate della provincia (un territorio viene considerato agglomerato quando la quantità di particolato immesso in atmosfera è superiore a 20 tonnellate per chilometro quadrato di superficie all’anno). Un’ulteriore conferma viene dai dati elaborati dall’Arpav, secondo cui nel 2011 a Vicenza il limite di media giornaliera di 50 microgrammi di PM10 per metro cubo d'aria venne superato nel periodo invernale per più della metà dei giorni, con medie che hanno toccato anche gli 80 microgrammi per metro cubo.

Lo Studio S.e.n.t.i.e.r.i., elaborato dall’Istituto Superiore di Sanità sui siti italiani maggiormente inquinati, ha dimostrato che in prossimità di discariche, impianti industriali e inceneritori il tasso di mortalità è più alto e si può stimare in 1200 casi annui in più rispetto ad altre aree. Cioè abitare nelle vicinanze di discariche, impianti industriali e inceneritori è un fattore di rischio per l’aumento della mortalità. Secondo ulteriori studi, oltre che di un eccesso di mortalità in entrambi i sessi per malattie cardiovascolari, gastrointestinali, del sistema nervoso centrale e del sistema respiratorio, l’inquinamento ambientale è causa di una maggiore frequenza dei casi di malattia di Alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica (S.L.A.) e di alcuni tumori.

Per avere un’idea della pericolosità connessa ai siti di smaltimento dei rifiuti bisogna tener presente che un inceneritore riesce a dissolvere solo una parte del materiale che tratta: per ogni chilo di rifiuto solido immesso in un inceneritore, restano tra i 250 e i 300 grammi di ceneri tossiche che vengono conferite alle discariche destinate a rifiuti pericolosi. Un inceneritore immette nell’ambiente annualmente una quantità dell’ordine delle centinaia di chili di certe sostanze tossiche. Vengono immesse in atmosfera anche quantità piccolissime di diossine, che sono però letali per l’organismo umano già in dosi minime dell’ordine del miliardesimo del milligrammo: 100 milligrammi di diossina potrebbero infatti uccidere quattro milioni e mezzo di persone. Ma da un inceneritore vengono anche rilasciate sia particelle dal diametro di 10 micron (PM10), che possono venir filtrate, sia particelle più pericolose perché di diametro inferiore, per le quali non esistono sistemi efficaci di filtraggio e che il corpo umano non è in grado di respingere: le particelle ultrafini, attraverso il sistema respiratorio, entrano in circolo nel sangue e da qui raggiungono il resto degli organi, provocando malattie di tutti i tipi. I limiti stessi ammessi dalla legge per l’immissione di sostanze tossiche non costituiscono sufficienti parametri di sicurezza dato che non sono stabili ma variano nel corso degli anni. I limiti vengono aggiornati col miglioramento tecnologico, ma non sono efficaci da un punto di vista biologico.

Una volta immesse nell’ambiente, le sostanze pericolose possono entrare nel ciclo alimentare umano e contaminare gli stessi feti, dai quali si svilupperanno persone che resteranno esposte all’azione di tali sostanze fin dalla loro nascita e per il resto della loro vita. A questo proposito va fatto notare che attorno alle aree inquinate aumenta il numero delle malformazioni congenite.

L’Istituto di Statistica Europeo ha fornito dei dati che mostrano come in Italia aumenti l’aspettativa di vita, ma a partire dal 2005 risulta drasticamente diminuita l’aspettativa di vita sana. A questo dato va fatto poi corrispondere il forte aumento delle spese farmaceutiche. L’inquinamento atmosferico risulta causa anche del diabete e dell’obesità. Uno studio dell’Associazione Americana dei Diabetisti dimostra le stretta relazione fra l’aumento della quantità di sostanze chimiche immesse artificialmente in atmosfera e l’aumento dei casi di diabete. Molte di queste sostanze hanno infatti tempi naturali di smaltimento molto lunghi e finiscono per accumularsi nell’organismo causando un’alterazione nelle ghiandole endocrine. In particolare la diossina è un interferente endocrino e l’organismo umano non è in grado di riconoscerla come agente esterno: la sua struttura molecolare può essere, infatti, molto simile a quella degli ormoni sessuali. Il bisfenolo è ampiamente utilizzato come solidificante nelle lavorazioni del materiale plastico, è contenuto in tutti gli oggetti di plastica e da questi è in grado di passare nell’organismo umano, diventando causa di diabete.

La continua esposizione a queste sostanze tossiche può comportare l’insorgere di malattie di diverso tipo nello stesso soggetto. È ormai noto ai medici che lavorano nelle strutture ospedaliere locali che le persone di oltre settant’anni con problemi di salute presentano una media di quattro malattie diverse contemporaneamente. In alcuni casi si sono riscontrate anche otto diverse patologie gravi nello stesso paziente. Spesso si tratta di tumori, malattie cardiovascolari, diabete e obesità che si presentano in forma associata, cioè malattie per le quali è stata dimostrata una relazione di dipendenza dall’inquinamento ambientale.

Il Dott. Cordiano ha concluso il suo intervento affermando che il fattore ambientale, a differenza di quello genetico, è altamente prevedibile. Pertanto la volontà politica di ridurre l’inquinamento ambientale determinerebbe un forte contenimento del rischio di insorgenza di malattie ad esso correlate.


Il secondo intervento è stato effettuato da Emanuele Vezzaro, attivista dell’Associazione No alla Centrale, che, avvalendosi di un’infografica, ha prima fatto un’introduzione generale sui principali dati storici da cui è sorta la questione del gassificatore di fanghi conciari, tema della serata, partendo dal 2005, anno in cui fu stipulato l’Accordo di Programma Quadro, sottoscritto dal Ministero per l’Ambiente, la Regione Veneto, le Autorità di Bacino dei fiumi Adige, Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta e Bacchiglione, le Autorità d’Ambito Territoriale della Valle del Chiampo e del Bacchiglione, le province di Padova, Verona e Vicenza, le Associazioni del settore della concia, i comuni di Trissino, Arzignano, Montecchio Maggiore, Montebello Vicentino, Lonigo e Cologna Veneta (sui cui territori nel 2005 erano installati dei depuratori), l’ARPAV, i gestori Acque del Chiampo S.p.A. e Medio Chiampo S.p.A., i consorzi ARICA e LEB, nonché la società SICIT S.p.A.

L’obiettivo principale dell’Accordo di Programma Quadro è il riequilibrio del bilancio idrico nel distretto vicentino della concia attraverso:

  1. la riduzione, fino ad eliminazione, delle sostanze pericolose nei cicli produttivi;
  2. la riduzione dell’emissione di sostanze saline nel corpo idrico;
  3. il riutilizzo delle acque reflue di depurazione nei cicli produttivi;
  4. il collettamento agli impianti di depurazione di tutti gli impianti civili e industriali;
  5. la ristrutturazione e l’adeguamento degli impianti di depurazione;
  6. il disinquinamento del bacino Fratta-Gorzone;
  7. la realizzazione di sistemi di trattamento dei fanghi al fine di minimizzare lo smaltimento in discarica;
  8. la riduzione delle emissioni odorifere degli impianti di depurazione;
  9. la riduzione delle emissioni in atmosfera da parte del comparto produttivo;
  10. certificazione ambientali ISO 14001;
  11. un piano di monitoraggio dei precedenti punti.


Per questo APQ, la cui scadenza è nel 2015, erano stati stanziati 90 milioni di euro che ad oggi sono stati già tutti utilizzati.

Il depuratore di Arzignano, gestito da Acque del Chiampo S.p.A., risulta quello che produce le maggiori quantità di fanghi da concia, con circa 22000 tonnellate annue. Mentre il depuratore di Montebello, gestito da Medio Chiampo S.p.A., produce circa 9000 tonnellate annue di fanghi. Questi fanghi sono composti per il 70% da cosiddetta “riviera” e per il 30% da cosiddetta “rifinizione”, e attualmente finiscono interamente in discarica. Per avere un’idea meno astratta della quantità di materiale conciario che viene stoccato in discarica in termini di peso, si pensi al fatto che la portaerei Cavour, in dotazione alla Marina Militare Italiana, della lunghezza di 230 metri, al varo pesava 18000 tonnellate. Queste 31000 tonnellate di fanghi annui vanno ad aggiungersi ai 2 milioni di metri cubi di rifiuti speciali già presenti nelle vecchie discariche dell’Ovest vicentino. Il progetto di gassificatore dei fanghi conciari, che è stato elaborato sulla base della composizione degli scarti attualmente prodotti, prevede la bonifica di queste discariche, senza però conoscere la reale composizione dei fanghi che vi sono depositati. In realtà non si conosce esattamente nemmeno la composizione dei fanghi che vengono depositati nella discarica n° 9 attualmente utilizzata, dove infatti è in corso da circa un paio di anni un processo di pirolisi che non si sarebbe dovuto verificare in base ai materiali dichiarati e di cui non si conoscono le cause. I tecnici non sono in grado di arrestare questo processo di combustione, possono solo monitorarlo.

Nel 2005 fu istituita una prima commissione tecnica chiamata a valutare una serie di soluzioni per lo smaltimento dei fanghi. Nel 2009, al cambio di Giunta al Comune di Arzignano, e quindi al cambio della presidenza dell’AATO, fu chiusa la prima commissione tecnica e ne fu istituita una nuova che, sulla base delle principali problematiche di cui bisogna tener conto per arrivare a una soluzione del problema dei fanghi, dovette valutare quattro progetti diversi, tra i quali venne ritenuto più idoneo, nel 2011, quello con tecnologia PyroArc, presentato proprio dall’azienda SICIT che rientrava fra i firmatari dell’Accordo di Programma Quadro.

Chiuso questo lungo excursus storico, Vezzaro è passato a spiegare in cosa consiste il progetto presentato dalla SICIT. Al momento il progetto della SICIT è solo su carta. Esiste solo un prototipo, differente dal progetto presentato per i fanghi della concia ma in qualche modo ad esso assimilabile, utilizzato dalla SICIT per delle sperimentazioni nei primi anni 2000, e realizzato su un’isola in Norvegia estesa circa come la provincia di Vicenza e con una popolazione di quasi 6000 abitanti, dunque in un contesto completamente differente dal territorio della Valle del Chiampo, fortemente antropizzato e già altamente inquinato. Le conclusioni cui è giunta l’azienda a seguito di queste sperimentazioni sono state riportate nella relazione prodotta dalla seconda commissione tecnica a riguardo del progetto PyroArc, dalla quale emergerebbe che ci sono alcuni aspetti che devono essere migliorati. Purtroppo né l’AATO, né Acque del Chiampo S.p.A., né gli industriali della concia hanno fornito i dati sviluppati dalla SICIT circa le emissioni prodotte dal prototipo in base alle sperimentazioni svolte.

Il processo PyroArc è composto principalmente di tre stadi. Il primo consiste nel gassificatore vero e proprio, nel quale vengono convogliati, previo trattamento, i fanghi della concia. Nello stadio del gassificatore vengono raggiunte temperature che variano tra i 1500 e i 5000 gradi in base all’umidità del materiale immesso. A seguito della combustione, alcuni degli elementi presenti nel materiale immesso si dividono in metalli, vetro e minerali vari, che secondo l’azienda possono venir reimmessi nelle attività produttive o utilizzati per i fondi stradali. Il residuo gassoso della combustione, che non può essere recuperato, viene convogliato in una torcia al plasma, il secondo stadio, e trattato a una temperatura di circa 5000 gradi. L’ulteriore residuo passa a un terzo stadio, cioè il reattore dove dovrebbero venir intercettate le micropolveri prodotte nei due stadi precedenti, prima del rilascio in atmosfera degli ultimi scarti gassosi. Mancando però i riscontri empirici sulle emissioni prodotte dal prototipo della SICIT in Norvegia, è opportuno tener presente che, come ricordava il Dott. Cordiano, non esistono filtri in grado di intercettare le particelle più piccole, che sono le più numerose e le più pericolose in quanto aggrediscono il sistema endocrino.

Tuttavia la struttura del prototipo norvegese è diversa da quella prevista dal progetto della SICIT presentato per la Valle del Chiampo. Si tratterebbe quindi di installare qui un nuovo prototipo utilizzando componenti già impiegati nel primo. Dunque, in pratica, il reale funzionamento del progetto presentato dalla SICIT verrebbe sperimentato per la prima volta nella Valle del Chiampo.

Siccome i 90 milioni di euro stanziati per l’APQ sono già esauriti, in concertazione con il Ministero per l’Ambiente e la Regione Veneto si è previsto di stanziare la somma di 15 milioni di euro solo per la costruzione di questo nuovo prototipo, la realizzazione dell’intero piano industriale prevede un investimento di ulteriori 70 o 80 milioni di euro. Dei 15 milioni, 10 sono pubblici e 5 sono stati stanziati dal settore della concia, nonostante solo il 2% dei fanghi trattati dai depuratori dell’area interessata sia di natura civile: il restante 98% è di origine industriale.

Eppure un’ipotesi di alternativa è già stata avanzata dall’Associazione No alla Centrale. Attualmente i fanghi dell’industria conciaria vengono interamente conferiti in discarica dopo il processo di essiccazione. Perché non separare allora la parte cosiddetta di “riviera” da quella di“rifinizione”? Come detto all’inizio dell’intervento di Vezzaro, la “riviera” forma ben il 70% dei fanghi di concia e consiste della parte iniziale della lavorazione delle pelli. È interamente organica, essendo composta soprattutto da carniccio e peli, è biodegradabile e potrebbe quindi venir utilizzata come concime in agricoltura se trattata nel giusto modo. Il restante 30% di cosiddetta “rifinizione” è la parte più pesante, essendo ricca di metalli, tra cui il cromo trivalente che, a temperature alte quanto quelle previste nel progetto di gassificatore della SICIT, si trasforma nel pericolosissimo cromo esavalente. Le industrie conciarie attualmente già utilizzano due canali d’uscita separati per la “riviera” e per la “rifinizione”, solo che entrambi confluiscono nel medesimo collettore e da questo nel depuratore. La soluzione più semplice sarebbe quella di costruire per ogni impianto un secondo collettore specifico per la “riviera”, mentre il primo collettore, ormai contaminato, continuerebbe a essere utilizzato per lo scarto di “rifinizione”.

Un tentativo del genere non è mai stato provato prima, si tratta dunque di un’ipotesi. Così come è un’ipotesi che il progetto di gassificatore sia realmente adeguato (come ammette la stessa relazione della commissione tecnica), con la differenza però che l’esperimento di diversificazione degli scarti costerebbe molto meno anche rispetto all’acquisto del prototipo installato nel Mare del Nord, in Norvegia, fermo da anni e ormai obsoleto, e al suo trasferimento nella Valle del Chiampo senza sapere esattamente quali rischi comporterebbe il suo funzionamento e se sia idoneo al trattamento dei fanghi della concia. Attualmente il conferimento dei fanghi nella discarica n° 9 costa 95 euro a tonnellata. Esiste la possibilità di “esportare” i fanghi essiccati fuori regione e fuori dai confini nazionali, ma a prezzi ben maggiori. Il costo di smaltimento tramite il gassificatore arriverebbe poi a 285 euro a tonnellata, cioè una cifra probabilmente insostenibile per la maggior parte delle aziende conciarie, già duramente colpite dalla crisi economica. Il trasferimento del prototipo norvegese o la costruzione di un nuovo prototipo, calcolando i relativi costi di gestione, non risulterebbe conveniente nemmeno tenendo conto del recupero energetico, compreso tra il 19 e il 25% dei costi di smaltimento. Invece la separazione delle acque di “riviera” da quelle di “rifinizione”consentirebbe agli imprenditori di trasformare una voce di costo in una fonte di introiti, sia attraverso la vendita del primo materiale sia attraverso il recupero e il riutilizzo dei metalli pesanti contenuti nel secondo, come già avviene in alcuni paesi del Nord Europa.

Bisogna infine tener presente che il progetto di gassificatore dei fanghi da concia non è l’unico problema ambientale dell’Ovest vicentino, è solo uno dei problemi: ci sono anche il P.A.T. regionale (Piano Ambientale Territoriale) che sta esautorando il potere decisionale dei comuni, il progetto Vi.Ver. che prevede non solo il raddoppio dell’autostrada A4 ma anche la costruzione di nuove tangenziali, il progetto della linea ferroviaria ad alta velocità, la nuova strada pedemontana la cui costruzione presto verrà avviata anche in questo territorio. Dunque non è possibile affrontare ogni singola questione senza aver chiaro il quadro generale della situazione e senza un approccio organico. Bisogna chiedersi: cosa vogliamo fare del nostro territorio? Ad avviso dell’Associazione No alla Centrale manca una regia chiara di cosa si voglia fare del territorio e ognuno sta pensando al suo“orticello”. È invece arrivato il momento di lasciare da parte i campanilismi e di far valere il nostro potere decisionale per provare a trovare una soluzione comune per tutti i problemi che siamo chiamati ad affrontare.


Altre fonti:





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Sul caso della Belcogamma, azienda di Sarego, proponiamo la lettura di tutti gli articoli o documenti che si possono liberamente trovare su internet, senza apportare censure, perchè tale pratica non è nelle nostre intenzioni. 
Ognuno di voi è pregato di segnalare ulteriori notizie, scrivere comunicati o replicare (firmando i propri interventi) al fine di una maggiore e più completa informazione. 
Con queste finalità, di seguito troverete anche un'intervista elaborata da un nostro componente a Pietro Rossi.

Per chi è interessato ad approfondire ulteriormante questa tematica  titolari di numerose informazioni sono il Comitato Intercomunale Tutela Territorio Area Berica (CITTAB) con sede presso Agribussiness, via Rossi 13 a Lonigo (tel. 3472215546) e il Comune di Sarego.


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Belcogamma 1 e Belcogamma 2 sono a cura di A. Romanazzi



Belcogamma 2: report della conferenza pubblica del 16 aprile 2013

Riportiamo qui i contenuti emersi nel corso della conferenza pubblica organizzata dal Comitato Intercomunale per la Tutela del Territorio dell’Area Berica sul tema della classificazione di insalubrità dell’azienda Belcogamma, sulla base delle riprese audiovideo effettuate per l’occasione. La conferenza si è tenuta la sera del 16 aprile u.s., presso la sala parrocchiale di via IV novembre a Meledo di Sarego. Relatore: Prof. Gianni Tamino, docente di Biologia e di Fondamenti di Diritto Ambientale all’Università di Padova, ex membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (gruppo di lavoro sui rischi biologici), e della Commissione Interministeriale per le Biotecnologie.

Il Prof. Tamino ha esposto in breve la sua analisi della relazione tecnica prodotta nell’agosto 2010 dall’azienda Belcogamma per il progetto di ampliamento dello stabilimento sito in via IV novembre a Meledo di Sarego, progetto bocciato nel 2011 dalla Conferenza dei Servizi.

A parere del Prof. Tamino, la relazione tecnica da un lato ha tentato un approccio tranquillizzante, dall’altro ha fatto però uso di un linguaggio poco preciso in diversi punti, non facendo sempre riferimento a parametri scientifici e matematici chiari e verificabili.
La relazione dichiara infatti, per esempio, che dall’impianto in progetto si avrebbero emissioni aeriformi di nebbie oleose idrocarburiche, senza però specificare quali sostanze saranno contenute in questi fumi né di quali idrocarburi si tratta. Le concentrazioni massime di nebbie oleose e particolato (polveri sottili) sono previste dalla relazione tecnica prima al limite della rilevabilità. Ma poi, in un paragrafo successivo, risulterebbero di 10 milligrammi per metro cubo, dunque in quantità perfettamente rilevabili. Non essendo possibile pertanto chiarire se il riferimento è a emissioni pericolose o meno per la salute e l’ambiente, ed essendoci evidenti contraddizioni nel testo della relazione tecnica, risulta lecito supporre potenzialmente dannose le conseguenze di tali emissioni. Peraltro è strano il fatto che la relazione tecnica preveda concentrazioni di soli 10 mg/m³, a fronte di un limite massimo indicato dalla Provincia che è doppio.


La relazione tecnica dichiara che l’attività dell’impianto durerebbe 240 giorni all’anno, per 24 ore al giorno. Il nuovo camino, il n° 3, di 250 mm di diametro e di 8 metri di altezza, avrebbe una portata oraria di emissione di 3500 m³, che comporta un’emissione di 1 kg di polveri al giorno. La relazione tecnica presentata dalla ditta Belcogamma non specifica però a quale tipo di polveri si fa riferimento. Eppure questo dato è fondamentale, dal momento che le polveri di diametro a partire da 10 micron non sono eccessivamente pericolose, invece lo sono quelle di diametro minore. In particolare sono pericolosissime quelle con un diametro inferiore a 2 micron.

La relazione tecnica prevede l’utilizzo di filtri per la captazione delle polveri. Ma siccome i filtri sono in grado di fermare solo le polveri di diametro maggiore o uguale a 10 micron, cioè le meno pericolose, si evince dunque che le poveri disperse, secondo quanto la relazione tecnica suggerisce, sarebbero proprio quelle più piccole, cioè quelle fortemente dannose per la salute.

Tamino ha poi puntualizzato che non è il peso delle polveri il dato più rilevante da conoscere, bensì il numero di particelle contenute all’interno della massa dispersa. 1 kg di polveri al giorno può essere poco pericoloso o molto pericoloso a seconda che questo chilo contenga polveri di diametro maggiore o inferiore ai 10 micron, vale a dire un numero minore o maggiore di microparticelle. Filtrare le polveri di diametro maggiore non è rilevante, dal momento che un chilo di emissioni conterrebbe un numero elevatissimo delle polveri più dannose. Purtroppo la relazione tecnica non chiarisce questo dato, finendo così con l’alimentare ulteriori perplessità e timori.

Ad ogni modo, l’attività di questa azienda è stata dichiarata dall’ULSS come “insalubre di seconda classe”, vale a dire che l’insalubrità dell’attività della Belcogamma è ufficialmente documentata. «C’è da chiedersi - ha aggiunto Tamino - se un’attività di questo tipo è compatibile con la presenza di abitazioni nelle sue vicinanze.» Normalmente la logica dovrebbe essere di individuare dei siti il più lontano possibile dalle abitazioni proprio per diminuire i rischi per la salute dei cittadini.

«Bisogna poi tener presente - ha proseguito Tamino - che ci sono i camini 1 e 2 già in funzione. Dal camino 1, in particolare, fuoriescono i cosiddetti COV (composti organici volatili), un termine generico che include anche composti pericolosi. Il camino 1 ha una portata maggiore del n° 3. L’impatto delle emissioni dei tre camini insieme, però, sarebbe ben maggiore della loro semplice somma, in quanto va tenuto presente anche l’impatto che avrebbe l’aumento del numero dei mezzi di trasporto circolanti per via dell’attività del nuovo camino che verrebbe ad aggiungersi. Questo elemento non è stato calcolato nella relazione tecnica.»

L’azienda dichiara che prevede la possibilità di utilizzare anche altri materiali e composti per la produzione di film di plastica, senza però indicare quali. Alcune sostanze utilizzate in questo tipo di lavorazioni sono altamente pericolose. Sarebbe quindi più che opportuno, quando si richiede l’autorizzazione a un progetto, che si facciano conoscere preventivamente le sostanze che si intende utilizzare.

Tutti questi dubbi si sarebbero potuti risolvere con una relazione dettagliata. La relazione presentata dalla Belcogamma, a firma dell’Ingegner Rigoni, non chiarisce i dubbi, ma anzi ne insinua. In casi come questi, allora, il sospetto è legittimo.

A questo punto, secondo il programma degli organizzatori, si sarebbe dovuto dare la parola agli altri soggetti invitati, coinvolti a più riprese nella lunga vicenda della Belcogamma, cioè l’ARPAV, l’ULSS e la Provincia di Vicenza, al fine di avviare un confronto su quanto esposto dal Prof. Tamino. Nessun rappresentante di questi enti era però presente in sala.

Era invece presente un vasto pubblico, di cui facevano parte alcuni dipendenti dell’azienda. Questi hanno contestato molto vivacemente l’analisi del Prof. Tamino, a volte intervenendo aspramente a seguito delle obiezioni mosse nei loro confronti dal restante pubblico. Tuttavia questi lavoratori non avevano con sé documenti o dati tecnici in grado di confutare l’analisi precedentemente svolta. È emersa soprattutto la loro preoccupazione per il futuro economico della Belcogamma e per le proprie aspettative occupazionali. I dipendenti dell’azienda presenti in sala hanno domandato soluzioni alle loro preoccupazioni. Si è così lasciata la parola al Sindaco di Sarego Castiglion, presente all’incontro insieme agli Assessori Luzi e Tregnaghi, invitati a partecipare dal C.I.T.T.A.B. insieme a tutta la Giunta e ai Consiglieri comunali.

Il Sindaco Castiglion ha brevemente esposto che la Giunta comunale si stava occupando della questione, sia provando a individuare un nuovo sito in zona industriale dove trasferire l’attività attualmente svolta dall’azienda nello stabilimento di via IV novembre, sia proponendo una permuta all’istituto finanziario che ha fornito alla Belcogamma il leasing per l’acquisto della stessa area. Tale proposta non è risultata praticabile e al momento, secondo quanto comunicato dall'azienda, non risultano esserci dei compratori, né dal settore dell'industria né da quello del mercato immobiliare, interessati a riscattare il terreno su cui poggia il sito di via IV novembre. Castiglion ha inoltre sottolineato che all’attuale Giunta comunale non sia stata avanzata alcuna nuova domanda per l’ampliamento dell’azienda.

L’intervento del Sindaco ha suscitato diverse reazioni di contenuto eterogeneo.

Innanzi tutto è stato fatto presente a Castiglion che vendere l’area di via IV novembre a un’altra azienda rischia di non risolvere il problema, ma solo di allungare i tempi per una soluzione valida, in quanto un compratore non dovrebbe comunque essere messo in grado di avviare un’attività produttiva pericolosa all’interno del centro abitato.

In secondo luogo, il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale emesso dalla Provincia già nel 2006, cioè prima che la Belcogamma avviasse parte della sua attività nel sito di via IV novembre nonostante non disponesse delle debite autorizzazioni, stabilisce che quell’area sia adibita a uso residenziale e non più industriale. Quindi l’ipotesi di individuare un compratore che avvii nello stabilimento di via IV novembre la propria attività industriale contravverrebbe a quanto il PTCP prevede già da ben sette anni, e non risolverebbe il problema del traffico di mezzi pesanti in una strada stretta, senza uscita e densamente abitata come quella di via IV novembre.

In terzo luogo, da parte di Pietro Rossi, membro del Comitato organizzatore della conferenza, è stato evidenziato che la Belcogamma ha più volte operato in assenza delle debite certificazioni, e che all’azienda è stata indirizzata una denuncia penale a suo carico.

In ultimo, anche se non è responsabile per le azioni intraprese dalle precedenti amministrazioni comunali, la nuova Giunta non può permanere in una posizione “attendista” che ufficializzerebbe l’attuale status quo e rischierebbe di “sanare” eventuali irregolarità non ancora scoperte, commesse sia da parte dell’azienda che da parte delle precedenti Giunte. La nuova Giunta comunale ha invece la possibilità di esercitare comunque il diritto-dovere di autotutelarsi e di tutelare quindi anche i propri cittadini, dal momento che il Primo Cittadino è anche il primo responsabile per la salute pubblica sul territorio che amministra.

A conclusione della conferenza, il pubblico e il Prof. Tamino hanno quindi avanzato le seguenti proposte al Sindaco Castiglion: 1- effettuare una ricognizione di tutti gli atti amministrativi comunali che riguardano la Belcogamma, al fine di venire a conoscenza delle irregolarità finora note ed eventualmente anche di altre; 2- emettere nuovi atti amministrativi che denuncino l’eventuale irregolarità di quelli emessi dalle precedenti amministrazioni comunali di cui l’azienda può essersi avvalsa nel corso della sua attività, al fine di autotutelarsi con le altre istituzioni che hanno fornito o possono fornire specifiche autorizzazioni sulla base del principio del silenzio/assenso; 3- emettere un atto amministrativo preventivo che formalizzi che l’attuale amministrazione non ha fornito alcun consenso risultante precostitutivo dell’odierna situazione, al fine di ufficializzare l’estraneità dell’attuale Giunta rispetto alle irregolarità eventualmente commesse; 4- avvalersi della collaborazione del C.I.T.T.A.B. che dispone di un vastissimo archivio di documenti prodotti dai vari enti coinvolti nella questione Belcogamma.

A tali richieste il Sindaco e l’Assessore Luzi, pur avendole attentamente ascoltate, non hanno fornito, nel corso del confronto, alcuna risposta, né hanno assunto impegni verbali con il pubblico che le aveva avanzate, né fornito ulteriori indicazioni sulla linea che intendono seguire.

La conferenza è terminata, ma le discussioni sono poi proseguite sia dentro che fuori la sala, tra piccoli gruppi di persone, in maniera ancora molto coinvolgente, segno del forte interesse suscitato dalla questione Belcogamma.





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Belcogamma 1: intervista a Pietro Rossi
Abbiamo rivolto alcune domande a Pietro Rossi, ex consigliere comunale di Sarego, che per anni ha “monitorato” la vicenda del trasferimento di parte dell’attività produttiva dell’azienda Belcogamma, che si occupa di lavorazioni di materie plastiche, nel sito posto al termine di via IV novembre, a Meledo di Sarego.

Pietro perché ti sei interessato alla questione Belcogamma?

Beh, innanzi tutto perché anch’io, come tante famiglie, vivendo nelle immediate vicinanze dello stabilimento di via IV novembre, sono fortemente preoccupato per le possibili conseguenze sulla salute che avrebbe l’avvio di un’attività di recupero e riciclo di rifiuti plastici in quell’area. In passato sono stato consigliere comunale a Sarego, facendo anche parte della commissione edilizia. Attualmente sono il segretario del C.I.T.T.A.B., Comitato Intercomunale di Tutela del Territorio dell’Area Berica. Da sempre mi occupo di questioni ambientali.

Puoi fare un breve resoconto della storia del trasferimento di parte dell’attività produttiva dell’azienda Belcogamma, dalla sede in zona industriale a Meledo al sito di via IV novembre?

La storia ha avuto inizio nel 2006, quando la ditta Sanitaria Valpadana, che occupava il capannone di via IV novembre, iniziò a smantellare i propri impianti dopo che, l’anno prima, aveva cessato l’attività.
Nel febbraio 2007, in qualità di consigliere comunale a Sarego, partecipai a una riunione con il Sindaco e i rappresentanti dell’azienda Belcogamma. In questa riunione l’azienda spiegò i propri programmi, avendo evidentemente in animo di insediarsi nello stabilimento di via IV novembre. Il Sindaco ebbe modo di affermare che nell’area non si sarebbe potuto fare riciclo.
Nell’agosto dello stesso anno scrissi al Sindaco una lettera in cui spiegavo che avevo avuto modo di notare, all’interno del fabbricato di via IV novembre, delle attività ignote, anche rumorose, organizzate su più turni anche notturni. Vi chiedevo inoltre se il Sindaco fosse a conoscenza di tali attività e se sapesse in cosa consistessero. La sua risposta fu negativa: non era al corrente.
In seguito vi fu un invito da parte del Comune a partecipare a un incontro in cui l’azienda avrebbe spiegato cosa avesse intenzione di svolgere nel sito di via IV novembre. Non ritenni opportuno accettare l’invito, in quanto consideravo necessario che preventivamente l’azienda dicesse quali attività si svolgessero già all’interno del fabbricato e se disponesse delle relative autorizzazioni.
La presentazione dei programmi aziendali non si svolse più. Poco dopo ricevetti una lettera di diffida dal legale rappresentante dell’azienda per presunto “linguaggio infamante e calunnioso” nel carteggio inviato ai vari enti, tra cui il Comune.

Durante un’ispezione da parte dei Vigili Urbani, furono poi rinvenuti dei depositi di materiali. All’azienda fu richiesto di esibire le debite autorizzazioni dei VV.FF. ma queste non erano in suo possesso in quanto mai rilasciate fino a quel momento! Cioè l’azienda, che lavora materie plastiche, quindi materiali potenzialmente pericolosi, operava senza le debite misure antincendio.
Fu rinvenuta anche la presenza di un macchinario all’interno dello stabilimento che il figlio del titolare dell’azienda dichiarò essere stata acquistata già prima del maggio 2006!
Successivamente, per via delle segnalazioni che nel frattempo avevo inviato anche alla Procura, l’ARPAV riscontrò che presso l’azienda si stavano movimentando dei rifiuti. L’ente emise un verbale cui fece seguito una denuncia penale.

Una denuncia penale? Si trattò di un problema così grave da comportare addirittura una denuncia di tipo penale?

Certamente! L’ARPAV non potette comunicarci i dettagli in quanto coperti dal segreto istruttorio per le indagini allora in corso, ma dai verbali prodotti si evince che si trattava di rifiuti. D’altronde, cos’altro condurrebbe a una denuncia di tipo penale se non un aspetto legato ai rifiuti?
A questo punto, per il rilascio delle debite autorizzazioni, i VV.FF. indicarono una lunga lista di prescrizioni, tra cui anche numerosi estintori. Cioè nello stabilimento, al momento del controllo da parte dei VV.FF., non c’era nemmeno un sufficiente numero di estintori.

Dunque l’autorizzazione da parte dei VV.FF. mancava. Tutte le altre autorizzazioni, invece, erano state già rilasciate?

No, nessuna. Mancavano tutte.
Infatti, in una lettera del dicembre 2008, la Provincia di Vicenza sospese l’iter per la pratica relativa alla richiesta di autorizzazioni, da parte dell’azienda, “a svolgere attività di recupero rifiuti in procedura semplificata nel sito di via IV novembre”, e dichiarò che la ditta non risultava legittimata a svolgere tale attività.

Perché non rilasciò le autorizzazioni?

Perché per rilasciarle aveva bisogno che fossero già state rilasciate le dovute autorizzazioni da parte del Comune. Ma il Comune aveva opposto il suo diniego all’inizio dell’attività dopo che nel 2007 l’azienda aveva presentato, per la sede di via IV novembre, “un progetto di ristrutturazione dell’esistente insediamento industriale al fine di utilizzare una parte dell’area per trasferimento di linee produttive, magazzino e impianto di trattamento dei rifiuti”. In seguito la Provincia emise un divieto di inizio di attività di recupero rifiuti.

Quindi, in pratica, ancora a fine 2008, la ditta operava senza nessuna delle autorizzazioni previste. Non le venne nemmeno confermato il parere favorevole di compatibilità urbanistica al PRG, cioè il Piano Regolatore, per l’attività svolta, in quanto per la zona di via IV novembre sussiste un divieto di insediamento di impianti di trattamento, stoccaggio o smaltimento di qualsiasi tipo di rifiuti.
Il Comune di Sarego, avendo ricevuto una segnalazione di svolgimento dell’attività lavorativa nello stabilimento di via IV novembre, avendo effettuato un sopralluogo il 13 marzo 2008 nel quale era stata riscontrata la mancanza del certificato di prevenzione incendi, in data 14 aprile 2008 emise un’ordinanza nella quale si intimava alla ditta “di non utilizzare i locali e le attrezzature”.
Solo a fine dicembre 2008 arrivò, da parte dei VV.FF., la certificazione di prevenzione incendi per lo stabilimento di via IV novembre.

Nel 2006 era stato presentato in Comune un progetto che prevedeva certi adeguamenti e la costruzione di due torri da ben 18 e 14 metri di altezza! L’autorizzazione ambientale fu ottenuta, ma non da parte della Belcogamma, bensì della Sanitaria Valpadana, ancora proprietaria dell’area e firmataria del progetto. In questo modo, pur non servendo queste due torri ai proprietari dell’area bensì alla Belcogamma, quindi a un’azienda con un tipo di lavorazioni completamente diverso, fu superato il vincolo dei Beni Ambientali! Solo il 9 ottobre 2008 venne depositato l’atto di compravendita tra la ditta Sanitaria Valpadana e AgriLeasing Banca per il leasing a favore della Belcogamma in qualità di utilizzatrice, la quale a questo punto “ereditava” anche la possibilità di costruire i due imponenti manufatti.

Nel frattempo, in data 10 febbraio 2009 l’ULSS classificò l’attività come “insalubre di seconda classe, gruppo B, voce 42”.

In base al PTCP, Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale emesso dalla Provincia nel 2006, che in pratica costituisce il punto di partenza per i PRG, l’area su cui poggia lo stabilimento di via IV novembre non è classificata ampliabile, in quanto ritenuta non idonea come zona industriale per carenze varie. Il PTCP stabiliva, inoltre, che le aree classificate non idonee, e quindi non ampliabili, avrebbero dovuto essere prioritariamente assegnate per residenze al posto di aree nuove.
La relazione sull’ambiente relativa al progetto presentato dall’azienda nell’agosto 2010 per il riciclo, nonostante il Comune e il Gestore Ambientale avessero già emesso due dinieghi ufficiali a tale attività, recepì il PTCP ma non lo attuò.

Ma allora, mi chiedo, mancando questa lunghissima serie di presupposti, era opportuno effettuare questo trasferimento in via IV novembre? Perché si è proceduto comunque a questo insediamento a ridosso di un quartiere residenziale densamente abitato?

Di seguito cosa è avvenuto?

L’11 marzo 2010 la Provincia autorizzò, per quanto era di sua competenza, unicamente la stampa flessografica, cioè stampa di scritte sui sacchetti in plastica, e sigillatura degli stessi, avvertendo però l’azienda che permaneva la necessità del rilascio delle autorizzazioni ancora mancanti di competenza di altri enti. Infatti mancava, tra le altre cose, anche il parere dello SPISAL, cioè dell’ente, alle dipendenze dell’ULSS, competente per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Lo SPISAL fece solo in seguito un sopralluogo, da cui emersero delle negligenze, e quindi obbligò l’azienda a degli interventi, in particolare all’installazione di aspiratori di fumi. Il che praticamente vuol dire che fino a quel momento i lavoratori avevano operato in un ambiente malsano.

Il 23 febbraio 2011 il Comune di Sarego, in risposta alla presentazione in Provincia da parte dell’azienda di un progetto di “spostamento di un impianto di recupero di rifiuti plastici”, espresse in una lettera parere contrario all’insediamento dell’impianto di riciclo dei rifiuti plastici, sia per la grande quantità di tali rifiuti che avrebbe prodotto un’attività che lavora appunto le materie plastiche, sia per la collocazione nelle immediate vicinanze di numerose unità abitative densamente popolate. Si badi bene che la legge definisce rifiuti plastici quelli prodotti da terzi. Di fronte a tale parere contrario, anche Commissione Provinciale e Giunta Provinciale opposero il loro diniego al progetto.
A coloro che fino a quel momento avevano seguito la vicenda sembrò che fosse giunto l’epilogo, e che ci si potesse ritenere soddisfatti, dal momento che era stato scongiurato il rischio più grave, cioè l’avvio dell’attività di riciclo dei rifiuti plastici, potenzialmente molto dannosa per la salute. Invece, pochi mesi dopo l’insediamento dell’attuale Giunta Comunale, il Sindaco mi domandò un parere sulla vicenda della Belcogamma in vista di un incontro con l’azienda.

Di lì a poco il C.I.T.T.A.B. scrisse una lettera al Sindaco di Sarego in cui gli rammentava, tra le altre cose, che nello stabilimento di via IV novembre l’azienda operava senza tutte le dovute autorizzazioni, che l’amministrazione comunale non aveva fatto niente “per interrompere o sanzionare l’abuso”, che le autorizzazioni di cui disponeva erano in sanatoria di lavorazioni già in corso, che anche grazie alle segnalazioni effettuate dai cittadini c’era stato un intervento da parte dello SPISAL, quindi a vantaggio della salute dei lavoratori. Gli si rammentava inoltre il parere del professor Gianni Tamino, che sottolineava come dal camino 3 dello stabilimento di via IV novembre, se iniziasse il riciclo di rifiuti plastici, “usciranno 20 milioni di metri cubi di fumi l’anno. Considerato che in ogni metro cubo possono esserci 10 mg di particolato, significa che dal camino usciranno ogni giorno quasi un chilo e ogni anno 2 quintali di polveri che finiranno sulla popolazione”, cioè polveri sottili e sostanze altamente pericolose per la salute delle persone e dell’ambiente.
Infine, nel febbraio di quest’anno, si è tenuta l’assemblea pubblica organizzata dal Comune dedicata all’argomento “Belcogamma”.

Vi hai partecipato?

Certamente.

Puoi fare un resoconto di questa assemblea?

Potrei essere molto sintetico dato che in realtà non c’è molto da dire...

Chi era presente?

C’erano il Sindaco di Sarego, un rappresentante dell’ULSS, uno dell’ARPAV e una delegazione della Belcogamma.

Cosa hanno detto?

C’è stata un’introduzione da parte del Sindaco, che ha poi fatto una presentazione dell’azienda. Il rappresentante dell’ULSS ha fatto un intervento in cui, sinteticamente, sosteneva che l’azienda non produce livelli di inquinamento preoccupanti. E pressappoco ha sostenuto la stessa cosa anche il rappresentante dell’ARPAV nel corso del proprio intervento.

C’era una forte presenza di pubblico?

Sì, molto. In prima fila c’era la proprietà dell’azienda, più dietro alcuni dipendenti. Uno di questi mi ha afferrato e strattonato, un altro mi ha insultato, tentando di impedirmi di parlare.

Addirittura sono arrivati al contatto fisico?

Sì, purtroppo sì. Penso sia avvenuto per la mia “attenzione” con cui da anni seguo questa vicenda, ma anche per il mio intervento verbale nel corso dell’assemblea, un intervento purtroppo non brillante a causa della tensione emotiva presente in sala.

Quali sono le tue conclusioni?

Riassumendo. Primo: l’area su cui poggia lo stabilimento Belcogamma di via IV novembre non è da considerarsi industriale per via del PTCP, anche se in pratica è rimasta tale nel PRG. Questo dato evidente era disponibile a tutti i soggetti coinvolti in questa lunga vicenda. Secondo: nonostante questo, l’azienda Belcogamma ha acquistato comunque l’area, tentando anche di avviare nello stabilimento il riciclo di rifiuti plastici, nonostante la normativa del PRG lo escluda. Terzo: lo stabilimento di via IV novembre ha operato anche senza le dovute autorizzazioni, anche senza i dovuti requisiti in materia di sicurezza, e l’azienda ha anche subito una denuncia penale.
A questo punto non capisco perché si sia aggiunto questo nuovo capitolo a una vicenda già troppo lunga. La questione, per evidenti motivi, dovrebbe essere già chiusa, e non ancora in sospeso, come appare invece a seguito dell’assemblea di febbraio 2013. La questione è già stata risolta e l’azienda non può pretendere più di quello che ha già avuto!
Il mio timore è che l’azienda, dopo aver ottenuto in sanatoria l’autorizzazione all’attività di stampaggio e sigillatura dei sacchi di plastica, e non avendo subito conseguenze per il rinvenimento nello stabilimento di un macchinario per la lavorazione di scarti di materiale plastico, a piccoli passi tenti di arrivare a ottenere in qualche modo anche l’autorizzazione per il riciclo dei rifiuti plastici di terzi che, considerato quanto ha spiegato Tamino, risulterebbe non solo pericolosa ma addirittura dannosa per la salute degli abitanti di Meledo in quanto comporterebbe l’emissione in aria di quantitativi di sostanze nocive molto grandi all’interno di un’area residenziale.
Invito pertanto tutti i cittadini di Sarego a partecipare all’assemblea di martedì 16 aprile, ore 21, organizzata dal C.I.T.T.A.B. presso la sala parrocchiale San Maurizio di via IV novembre a Meledo, in cui è previsto l’intervento anche del professor Gianni Tamino.


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  Belcogamma: notizie da internet

Febbraio e Marzo 2013
 
Nel comune di Sarego in centro al paese prende il via l'ampliamento dell'azienda Belcogamma, dedita al riciclo delle materie plastiche; questo tipo di lavorazione, il traffico pesante che ne deriverà,  i fumi che verranno emessi sono in armonia con la salute dei cittadini ivi residenti? La salute è un bene comune? Vi invitiamo a riflettere su questo, leggere, informarvi e segnalarci eventuali idee da rendere note. 
Questi articoli linkati sono liberamente visibili su internet riproposti senza censura.



http://www.vicenzapiu.com/leggi/altola-del-pd-allampliamento-della-belcogamma-di-sarego


http://www.sarego5stelle.it/2013/02/incontro-per-discutere-sulla-questione-belcogamma/





http://www.nuovavicenza.it/2013/02/belcogamma-a-sarego-castiglion-m5s-basta-disinformazione/


http://www.rifondazione.veneto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1412:srego-la-giunta-m5s-avvalla-lampliamento-della-belcogamma-in-un-centro-residenziale-gravi-problemi-di-saluti-per-i-residenti&catid=54:vicenza&Itemid=81








Scheda informativa in caso di incidenti di una azienda di Terni simile alla Belcogamma: 

http://www.comune.terni.it/portaldata/UserFiles/File/ambiente/Basell_SchedaInformativa.pdf


 
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Novembre 2012

Vi invitiamo a leggere quanto riportato da alcuni periodici su quanto accaduto di recente nel nostro territorio. Sollecitata dai cittadini e dai comitati in difesa del territorio l'Arpav ha rilevato un forte inquinamento delle acque e i responsabili della Cartiera Burgo di Sarego dovranno provvedere con la bonifica.
Grazie ai cittadini impegnati nella difesa del pianeta, l'unico!

cliccate per leggere

http://www.vicenzapiu.com/leggi/burgo-inquinamento-a-sarego-e-lonigo-il-silenzio-dei-sindaci 
http://www.agoravox.it/Inquinamento-Rio-Roggia-una,43092.html  
http://www.vicenzapiu.com/leggi/caso-burgo-da-sarego-ordinanza-in-vista 
http://www.vicenzapiu.com/leggi/burgo-e-ufficiale-lordinanza-del-sindaco-di-sarego